(di Sebastian Lèningrad)
Fratelli, lettori e simpatizzanti,
il cielo sopra l'Armenia è sempre pesante, grigio e minaccioso; il vento insistente e fresco s'insinua tra i vestiti ed entra nelle ossa; gli occhi della gente guardano il vuoto, inespressivi e incolori come l'atmosfera che regna nei bazar e nei caffè.
Il futuro è incerto. Il futuro è ieri, è oggi, è domani (?). L'uomo ha perso speranze, energie vitali e ogni tipo di pulsione.
Il taxista abusivo che dall'aeroporto mi porta verso il centro città si esprime -sdentato- in un inglese stentato, e sorride mentre ammicca alle prostitute che affollano i viali del centro.
Il portiere dell'albergo mi fa l'occhiolino e mi suggerisce una coperta molto calda per la notte "àndred dòlar, àndred dòlar, signore".
La cameriera del mio piano, bionda ossigenata e troppo truccata, finge di pulire la moquette sintetica fuori dall'ascensore.
Guardo fuori dalla finestra e vedo una città di zombi. Troppo tristi per essere vivi. Troppo fieri per essere morti.